Fabio Viola è uno dei gamification designer più apprezzati in Italia. È specializzato nel creare esperienze di engagement per le aziende attraverso il gaming. Ha all’attivo importanti collaborazione con aziende come Electronic Arts, Lottomatica, FCA. Il suo blog “Gameifications” è un punto di riferimento sul gamification design. In questa intervista ci racconta come gli Esports stanno assumendo una meccanica sociale. Non sono più solo giochi, ma occasioni per socializzare e raccontare storie.
di Riccardo Lichene
Ciao Fabio, inizio subito con una domanda che ai membri dell’OIES interessa moltissimo: quali sono i brand che stanno più utilizzando i metodi della gamification al momento?
Innanzitutto bisogna fare una macro distinzione tra le due grandi categorie della gamification.
La prima è l’Enterprise, che è rivolta all’interno dell’azienda, quindi verso i suoi dipendenti. Parliamo della motivazione della forza vendita, la formazione dei dipendenti e l’assunzione.
Questo in Italia come nel mondo è un filone molto battuto, c’è anche una ricerca che chiamata Enterprise Gamification Report che afferma che il 50% del panel delle aziende intervistate ha già applicato o sta per applicare progetti, prodotti o processi di gamification.
L’altra grande branca è quella consumer, quindi la gamification applicata all’utente finale. Brand di larghissimo consumo come Nike o diverse catene commerciali come Media World si sono affidate a questi processi. Ogni comparto ha i suoi esempi come l’alta moda, da Gucci a Prada passando per Dior sono stati sviluppati tantissimi progetti. Ci sono poi le aziende di fitness e wellness come Tecnogym. La gamification è ben presidiata dal mondo corporate italiano.
Perché, quindi, un’azienda dovrebbe adottare la gamification tra le proprie strategie?
Perché la Gamification è “il braccio armato” di quello che io chiamo il design del coinvolgimento. Significa, per un’azienda, mettere al centro i suoi pubblici (e questo è ciò che impariamo dall’industria dei videogiochi) e creare delle esperienze che siano coinvolgenti, emotive e che diano protagonismo all’utente.
È un cambio di paradigma progettuale per rendere coinvolgente un prodotto tramite lo studio della User Experience (come si sente un giocatore) e la User Interface ovvero come il giocatore si interfaccia al prodotto.
Questo mondo cresce proporzionalmente con l’industria dei videogiochi perché siamo in un’epoca in cui sempre più utenti e persone si aspettano di essere i protagonisti delle esperienze che li circondano.
Quello che sta avvenendo è il passaggio dallo storytelling allo story-doing. Con lo storytelling un’azienda trasferisce un contenuto dall’alto verso il basso quindi ci sarà qualcuno che utilizzerà quel contenuto come in un libro o in un film.
I videogiochi invece ti spiegano il potere dello story-doing, in cui il giocatore si sente parte attiva prendendo lui le decisioni e conferendo uno straordinario livello di coinvolgimento.
Come vedi il rapporto tra il mondo degli Esports e queste dinamiche di engagement?
Sicuramente vista la qualità e la quantità di audience che gli Esport si sono guadagnati nell’ultimo anno, è inevitabile che siano diventati terreno fertile per i brand che decidono di parteciparvi.
Spesso le formule sono quelle tradizionali come la pubblicità in game, ma stiamo già assistendo a degli esempi eccellenti di “gamification all’interno degli eSport”: ovvero di campagne native che nascono per essere partecipate e partecipative.
Qui il giocatore non è solo sottoposto a un’immagine pubblicitaria ma ha un ruolo estremamente attivo in un’esperienza in cui il brand è quasi invisibile perché è parte dell’esperienza di gioco.
La chiave sono le partnership strategiche e molto ben contestualizzate senza le quali i tassi di coinvolgimento restano bassi. Questo sta accadendo sempre più spesso perché le aziende hanno due strade di ingresso.
La prima è creare il loro proprio videogioco con tutte le difficoltà che questo porta in termini di creatività e di raggiungimento del pubblico. Gucci per esempio ci ha provato con Gucci Arcade.
La seconda è entrare all’interno di giochi che hanno già un’audience e in questo gli Esports hanno già un ecosistema molto ben sviluppato. Non parlo solo del singolo titolo come può essere Fortnite o League of Legends, ma parlo del circuito di content creator e streamer che garantisce un segmento molto più ampio rispetto ai giochi single player.
Mi hai appena parlato di streamer e content creators, c’è un modo secondo te per rendere un’esperienza innatamente passiva come guardare uno streamer qualcosa di più attivo?
Esistono sistemi di trofei e riconoscimenti per individuare gli streamer più in ascesa, e premiare la loro interazione con il pubblico. Alcuni di loro rigirano queste sfide al pubblico stesso chiedendogli più supporto o interazioni per compiere gli obiettivi della piattaforma, trasformando il pubblico stesso in un “meta giocatore”.
Ci sono degli effetti indesiderati quando si mettono in competizione le persone tramite le dinamiche della gamification?
Certo, ci possono essere e non vanno negati ma tutto dipende dagli obiettivi e dai target che il designer vuole raggiungere.
Ogni tipologia di pubblico ha una sua meccanica di gamification specifica. Abbiamo individuato quattro fenotipi differenti: gli achievers, gli explorers, i killers e i socializers.
Per fare degli esempi: in un gioco di carte i socializers sono attirati dalle interazioni e dagli scambi che quell’ambiente permette e non gli interessa vincere o perdere.
I killers invece vogliono vincere, si allenano tanto e spesso vogliono anche umiliare l’avversario.
Gli explorers sono quelli che hanno bisogno sempre di cose nuove come il titolo appena uscito o l’ultima personalizzazione disponibile.
Infine ci sono gli achievers che sono abituati a collezionare, a sbloccare tutti gli obiettivi e a guadagnare trofei. Ognuna di queste categorie ha delle tecniche che spingono all’azione più di altre.
Come si intrecciano i mondi del videogioco e del betting nelle esperienze che vai a creare?
Dall’industria del gambling quello che possiamo imparare è lo sviluppo data driven, ovvero l’analisi costante e giornaliera di tutti i dati provenienti dai giocatori per migliorare l’esperienza e cambiare le interfacce secondo i loro desideri.