David Fenlon è un marketing consultant specializzato nell’industria degli Esport e una firma del prestigioso portale Esports Insider. In questa intervista spiega come i partner esteri guardano al mercato italiano e quale sarà il prossimo futuro delle sponsorizzazioni e del settore.
di Riccardo Lichene
Dopo il Coronovirus, vedi le sponsorizzazioni concentrarsi più sugli eventi live o tornare sulle manifestazioni online?
Penso che nel prossimo futuro gli eventi live soffriranno molto perché il lockdown verrà rimosso gradualmente. Se anche alcuni eventi internazionali dovessero riaprire, dovranno pagare per la quarantena dei giocatori che si spostano nel mondo ed è un costo che nessuno affronterebbe.
Quello a cui stiamo assistendo è la concentrazione delle sponsorizzazioni sugli eventi online. Ovviamente c’è più ritorno sugli eventi live, quindi si tornerà sicuramente in quella direzione quando la situazione lo permetterà.
Credi che ci sarà un settore in particolare da cui potranno provenire questi finanziamenti/sponsorizzazioni o vedremo grandi brand non endemici interessarsi a tornei esportivi?
Vedremo sicuramente grandi brand stringere delle partnership con le squadre, gli sviluppatori e gli organizzatori dei tornei per fare dei prodotti insieme.
Questa è un’ottima opportunità per i marchi consumer ma anche i servizi finanziari che si interesseranno agli Esports possono avere un buon mercato.
Questo perché ci sono miliardi di dollari che circolano in questo mercato, dalle micro-transazioni alla compravendita dei giocatori. Stiamo però andando verso una recessione, quindi i brand non si accontenteranno più di una semplice sponsorship ma vorranno un ritorno economico attraverso la vendita dei loro prodotti.
Il principio chiave per tutti sarà individuare quale forma permetterà alle aziende di avere il loro ritorno sull’investimento nel più breve tempo possibile.
Pensi che i brand preferiranno lavorare con i singoli giocatori o solo con i team?
Abbiamo visto quello che ha fatto Ninja: ora lui è sostanzialmente una celebrità che gioca ai videogiochi.
È un grande imprenditore di sé stesso e quello che ha fatto per l’industria è importantissimo. Lui non è diventato famoso perché è un bravissimo giocatore: è diventato famoso perché è un grande intrattenitore.
Il problema per l’industria è che ha reso meno delineati i confini tra uno streamer e un pro-player: il primo si concentra sui social e le piattaforme per dare visibilità ai brand, mentre il secondo non sempre è un personaggio pubblico con milioni di follower o una presenza forte sui social.
Dall’altro lato, però, gli streamer non sono così presenti quanto gli atleti nelle grandi competizioni: i pubblici sono diversi così come le persone con cui accordarsi per raggiungerli.
Penso che all’inizio vedremo più accordi con singoli personaggi, perché quando i brand entrano in un mercato considerano la collaborazione con un individuo più semplice da gestire rispetto a quella con una squadra.
Credo che nel lungo periodo vedremo le partnership concentrarsi sulle squadre piuttosto che sui giocatori, ma fino ad allora credo andranno di pari passo.
Per quanto riguarda il settore delle scommesse, pensi che l’industria del betting possa coordinarsi con il settore esportivo senza comprometterne l’integrità?
Questa sarà una grandissima sfida. Partiamo da un fatto: gli sviluppatori sono fortemente anti-scommesse. Riot per esempio si è già espressa in proposito, vietando ogni forma di sponsorizzazione da parte dell’industria del betting.
Activision Blizzard ha appena firmato con Sportsradar per avere qualcuno che monitori bene la situazione e crei un ambiente sano e non corrotto.
Ai livelli top, il gioco d’azzardo non sarà un problema secondo me, perché gli incentivi a vincere e le ricompense sono tanti. I campionati intermedi e medio-bassi invece hanno qualche problema perché, come in ogni altro sport, i match possono essere truccati e un team potrebbe andare al tappeto proprio nel momento che favorisce alcuni scommettitori.
Per fare un esempio: le stime dicono che l’industria del betting avrà (solo con gli Esports) 12 miliardi di dollari di ricavi. L’industria degli Esport, presa nel suo insieme, genererà circa un miliardo di ricavi quindi la differenza in potere economico è di 12-1.
L’unico modo che ha l’industria delle scommesse per entrare e giocare pulito, è investire nelle tecnologie di monitoraggio delle frodi e mostrare l’impegno nel contribuire a un gioco pulito.
Cosa ne pensi del mercato italiano? C’è potenziale secondo te nella nostra scena competitiva?
Iniziamo da una comparazione per capire perché penso che l’Italia abbia davvero tanto potenziale: la Gran Bretagna ha 67 milioni di abitanti, l’Italia circa 60, la popolazione italiana è leggermente più anziana anche se i due Paesi stanno invecchiando alla stessa velocità.
Il potere d’acquisto degli inglesi è di 3 miliardi mentre quello degli italiani 2,4.
Infine, il numero più importante: la grandezza del mercato dei videogiochi. In Italia è 1,8 miliardi mentre in UK è 4,2 e questo potrebbe sembrare un difetto per l’Italia ma non lo è.
In Gran Bretagna c’è veramente poco spazio per la crescita perché il mercato è quasi saturo mentre in Italia l’industria può crescere di addirittura due o tre volte.
Ci sono un sacco di opportunità di crescita ma a livello Esports non c’è un’infrastruttura radicata come quella inglese, bisognerà lavorare sodo per costruirla prima che i soldi inizino ad arrivare. Quello che servirebbe al mercato italiano sono giocatori e team che arrivano sulla scena europea e internazionale, poi da lì si costruisce l’intero sistema.